Due
parole di Poti...
Inizia
tutto con una decisione, un’intima decisione.
Da qualche parte, durante l’anno, in un istante, in un preciso
istante decidi di andare all’Elefantentreffen.
Superato il primo, enorme ostacolo, superata l’incertezza, si
innesca un processo automatico più o meno lungo, più o
meno laborioso, ma sempre simile.
Le tappe sono quelle.
Accordarsi con qualcuno. Quasi nessuno fa il viaggio da solo e se ciò
accade è solo perché non si è riusciti in alcun
modo a trovare compagni di viaggio.
Preparare la moto. Controllare motore, gomme e provare in ogni modo
a salvaguardarla dal terribile sale di cui sono ricoperte le strade
in inverno.
Preparare l’abbigliamento immaginando un freddo polare, un’aria
gelida da tagliare per ore. Mani e piedi sono le parti più difficili
da mantenere al caldo.
Poi c’è lo studio del percorso, degli orari, delle tappe
e deve essere pianificato in modo da incontrarsi tutti e da arrivar
su non troppo tardi.
Alimentazione, pernottamenti, attrezzature varie quali macchina fotografica
o cinepresa, sono gli ultimi passi obbligatori, poi non resta null’altro
che l’attesa, la lunga, interminabile, lentissima attesa.
Si arriva così all’ultima notte prima della partenza.
Si arriva così a quell’andare a letto con una marea di
maglie, calze, guanti e sottocasco già provati e riprovati che
vengono ammucchiati bene per essere indossati in fretta domani alle
prime luci dell’alba.
Domani comincia l’avventura.
Domani partiremo in tanti un po’ da tutta Europa.
Domani ci saranno mille moto che cominceranno il loro lungo e freddo
viaggio per incontrarsi tutte infine in quella gelida foresta.
Domani noi saremo intorpiditi, infreddoliti, imbaccuccati, un po’
assonnati, ma domani per noi comincerà l’avventura.
Perché?
Non lo so, ma a ripagarci è sufficiente anche il solo, primo,
isolato saluto di un’altra qualunque moto che incontreremo lungo
il nostro viaggio.