Oddone
incontrò la Morte in un gelido e soleggiato sabato di gennaio.
Proprio in uno di quei giorni, così rari durante gli inverni
padani, nei quali la nebbia sembra uno spauracchio fantastico, irreale,
scacciato da un sole sfolgorante. E quel sole si specchia negli infiniti
brillanti di brina che ricoprono come un tappeto campagne e sempreverdi.
Uno di quei rari giorni in cui spira il vento gelato che ha ripulito
l'aria rendendola cristallina al punto che da Milano sembra di poter
allungare la mano e di poter toccare tutto l'arco della Prealpi e delle
Alpi coperte di neve.
E' il giorno in cui i motociclisti che non hanno messo in letargo la
propria compagna a due ruote non riescono a resistere all'irrefrenabile
desiderio di far cantare il motore e di correre sulle strade. Andare,
partire, lanciarsi e scivolare in quel nitore in compagnia del vento,
verso nord, con le montagne e la neve negli occhi, con qualche eccitante
lama di gelo a filtrare negli indumenti pesanti, o ad infiltrarsi dal
bordo della visiera pur chiusa, o nel buco del guanto pesante. Ma con
la virile smorfia di un sorriso goduto poderosamente scolpita sul grugno
da duro biker. Ehi! Basta un'ora, due, e si ritorna rigenerati e vaccinati
contro altre settimane di nebbia, neve o pioggia. In pace con se stessi
e con il mondo.
Oddone fece " pinpincavalin " per scegliere tra la Yamaha
FZR 1000 e l'Harley Electra Glide, entrambe coperte da assicurazione
in quel periodo. Vinse la Yamaha, ma lui ci pensò su un po' e
decise per una cavalcata custom, lenta e ponderata, per godersi il paesaggio
senza doversi troppo concentrare sulla guida e su una esagerata attenzione
per eventuali tratti di strada ghiacciati. Inoltre avrebbe molto gradito,
vista la temperatura nana, il buon riparo del largo parabrezza dell'Harley.
Scaldò bene il motore e partì alle undici del mattino,
prendendo la provinciale verso Trezzo d'Adda. Era ben imbottito, come
se avesse dovuto andare a sciare, e non sentiva minimamente freddo.
Andava e motociclettava di gusto.
Si sentì
gelare quando La incontrò.
Ad un incrocio.
Lì in
mezzo al maledetto incrocio con i suoi stupidi ed inutili semafori c'era
la maledetta automobile messa di traverso, con la fiancata sfondata.
E per terra frammenti di vetro e di plastica ed i pezzi della motocicletta
che giaceva distrutta metri più in là. E poi i segni di
una impossibile frenata, e quelli di un impatto e di una strisciata
sull'asfalto.
Oddone si sentì stringere il cuore come in una morsa, quando
vide sul ciglio della strada il corpo coperto dal plaid colorato. Una
coperta corta, dalla quale spuntavano due stivaletti neri.
Non vide la gente che si assiepava commentando sottovoce. Vide "Lei",
che osservava la forma nascosta sotto la coperta standosene immobile
e silenziosa e tenendo piegato il capo nascosto dal cappuccio. Non c'era
emozione in quello stare lì, in quell'essere presente. Lei era
la Morte. Professionale, distaccata, fredda.
Lentamente Oddone attraversò l'incrocio, evitando i rottami che
giacevano a terra e cercando di non guardare nè il morto, nè
gli spettatori che guardavano lui che passava con l'Harley, nè
la moto che giaceva a terra, per non essere tentato di volerne riconoscere
marca e modello, nonostante la distruzione.
Lo spaventava pensare all'elegante e potente moto sportiva che quel
miserevole rottame era stato soltanto pochi minuti prima.
La sirena echeggiò alle sue spalle mentre si stava allontanando.
Sirena di che, al diavolo! Polizia, inutile ambulanza? Ormai era fatta...
era tutto finito. Il solito automobilista con la testa nelle nuvole,
che svolta senza guardare, o frena di colpo, o apre la portiera o...
o... o! Cento modi per fracassare testa ed ossa a noi che stiamo sulle
moto!
Oddone guidava a bassa velocità, sconvolto da ciò che
aveva dovuto vedere. La giornata era diventata intollerabilmente fredda,
il piacere della guida invernale si era dissolto, il sole e le montagne
coperte di neve sembravano appartenere ad un orizzonte che non era più
il suo.
Pregò brevemente per quell'uomo, che era stato un motociclista
come era lui, fratello in quella passione travolgente che porta a cavalcare
quei meravigliosi cavalli d'acciaio, tanto splendidi quanto vulnerabili,
tanto esaltanti quanto pericolosi.
Poi, all'improvviso, Oddone si rese conto di non essere solo, a cavallo
della sua Electra Glide. Non riuscì a continuare nel suo vagabondare.
Dovette fermarsi su uno spiazzo sterrato vicino ad un prato dall'erba
secca coperta di brina. Scese di sella e tolse il casco. Non capì
se la causa del brivido gelido che gli scivolò lungo le membra
fosse il venticello teso che spirava da nord, oppure la figura incappucciata
di nero che sedeva sul sellone posteriore dell'Harley, appoggiandosi
rilassata all'alto schienale.
- Mi piace, la tua moto... - disse la Morte, ed aveva la voce dolce
e profonda di una bella donna.
Una bella donna sulla quale il Tempo non avesse potere alcuno. Una donna
placida, matura, sicura del suo fascino e capace di trasmettere tutto
ciò attraverso la sua voce.
Niente roba rantolante, parole secche come il crepitare d'ossa, o sussurri
malefici. Tutt'altro: una cosa ammaliante.
- Una grande Harley tutta nera e cromata, con un motore come un grande
cuore pulsante. Mi si addice, non trovi? - il cappuccio della Signora
in Nero si mosse lentamente, come se lei stesse gustando la vista della
moto sulla quale stava seduta.
Oddone se ne stava zitto, con il casco tra le mani.
- Spero di non averti spaventato... quando ti ho visto passare su questo
splendore non ho saputo resistere alla tentazione di venire a fare un
giretto con te. Il mio lavoro l'avevo finito, ormai, ed avevo ed ho
un po' di tempo prima del prossimo appuntamento. -
- Ha fatto bene. - dichiarò Oddone, e si sentì molto stupido,
sia perchè si era rivolto alla Morte dandole educatamente del
"lei", sia perchè era convinto che le sue parole fossero
suonate, come dire? un tantino false.
Il cappuccio della Signora vibrò leggermente, proprio come se
lei stesse ridendo.
- Grazie. - disse poi. - La tua moto è anche molto comoda. L'hai
chiamata Augusta, no? Bel nome. Dà la giusta idea. -
Oddone non sapeva cosa dire. Quello che gli stava succedendo non era
vero, non poteva esserlo. Doveva avere preso un colpo di freddo. Forse
una cosa grave, per procurargli una simile allucinazione...
- Beh, se è grave, non lo è al punto da richiedere la
mia presenza. - disse la Morte. - Ho ancora un po' di tempo libero,
ma se ti spavento posso andarmene subito, se vuoi. -
- Non sono proprio a mio agio, per la verità. -
- Anche se sai che non sono qui per te? -
- Beh, insomma, questo mi tranquillizza un po'. - ammise Oddone, e poi
corrugò la fronte cullando un pensiero sgradevole.
- Ti stai chiedendo quanto tempo dovrà passare prima che il nostro
appuntamento diventi una realtà compiuta... -
- Lei sa leggere nel pensiero? -
- Puoi darmi del tu. Mi hai portato a spasso sulla tua moto, no? -
- Sai leggere nel pensiero? -
- Che importanza ha? Secondo te un motociclista che ne vede un altro
morto in mezzo alla strada riesce a non pensare "Chissà
quando toccherà a me?" -
- No, certo. - ammise Oddone.
- Vedi? Non occorre leggerti nel pensiero per sapere che stai pensando
se anche a te toccherà incontrarmi in quel modo, o su un'automobile,
piuttosto che in un letto... Certo preferiresti che non capitasse con
la moto, forse per non dover distruggere uno dei tuoi sette gioielli
a due ruote. -
- E' proprio così... Però io detesto la psico-logica.
Chi la conosce mi può leggere dentro come in un libro aperto.
-
- Su, non te la prendere... E' solo che hai paura delle tue paure. Ed
io mi sento di fare qualcosa per te, per ricambiare il piacere che mi
hai dato portandomi in moto con te. Vorrei aiutarti ad esorcizzarle,
le tue paure. Raccontale a me ed a te stesso, e vedrai che starai meglio.
Parlami prima di tutte le cose brutte, e poi lascia che la luce del
sole le sbiadisca, intanto che parliamo di tutte le sensazioni meravigliose
che le motociclette sanno dare. Alla fine me ne potrò andare...
Pensa! Potrai anche fare un paragone fra l'emozione che hai provato
ad avere ME seduta sulla tua moto, alle tue spalle, e quella che ti
dà una donna con grandi seni morbidi appoggiati contro la tua
schiena... -
" Chissà se anche la Morte ha le..." cominciò
a pensare Oddone.
- Non essere irrispettoso! - lo rimproverò bonariamente la Morte,
e lui si convinse che Lei poteva davvero leggere nel pensiero.
- Dimmi perchè hai sette moto. - sussurrò la Signora,
ed Oddone le spiegò:
- Tante me ne sono piaciute, e tante ho avuto la fortuna di potermi
permettere di possedere. -
- Dispari di numero... perchè così, se ne distruggerai
una incontrandomi, ne resteranno sempre tre per uno per ciascuno dei
tuoi figli. -
- E' così. - confessò Oddone, e la prima delle sue paure,
quella più grande e potente, uscì fuori.
- La vedo. - disse la Morte. - Vedo la paura per la vita dei tuoi figli...
vedo che vorresti poter sfogare la tua passione per le moto più
ancora di quanto tu non faccia, e regalare la passione ai tuoi figli
come qualcosa di prezioso. Ma vedo che ti odi per questo, perchè
temi di dar loro qualcosa che metta in pericolo la loro vita... -
- Arrivo a desiderare che invece di amare le moto quanto le amo io ,
arrivino ad odiarle proprio in contrapposizione al mio modo di vivere
questa passione... e ne sfuggano per sempre i pericoli che ne costituiscono
il prezzo. -
- Puoi sempre sperarlo. Puoi sperare che non sentano il richiamo di
questa eccitante forma di libertà... Il richiamo dell'andare
e dell'andare e dell'andare senza fermarsi... -
- E dei colori e dei profumi, e del caldo e del freddo, e del vento
che ti stuzzica o ti rinfresca... Che è lo stesso vento che ora
ti accarezza ed ora ti strapazza... che ora ti accompagna ed ora ti
perseguita, mentre corri le strade. -
- Sì. Questo e molto altro ancora, che tu conosci. C'è
sempre quel prezzo da pagare, che tu conosci... E c'è la paura...
Dammene un'altra, delle tue paure! -
- Basta così poco! Un attimo di distrazione. Mio o di chiunque
altro... ed arrivi tu. -
- Non è soltanto questo, il prezzo. Non lasciare che le paure
restino annidate dentro di te... c'è un prezzo anche più
alto. -
- Ma tutto è già scritto? E' inutile lottare, risparmiarsi,
essere prudenti? Il nostro appuntamento con te è già fissato,
è ineluttabile? Oppure è in nostro potere rimandare l'incontro
ad un momento più lontano? - chiese Oddone accoratamente, cercando
una risposta che fosse una via d'uscita dal castello di dubbi nel quale
a volte si accorgeva di essere rinchiuso.
- Hai troppo ben presente la favola del soldato di Samarcanda! Puoi
immaginare quanto io ami una ipotesi tanto suggestiva ed arguta, ma
non è così: io arrivo quando è giunto il momento,
mai prima! Siete voi uomini che a volte, comportandovi da pazzi, arrivate
in anticipo agli appuntamenti, mettendomi fretta e costringendomi a
correre. Non è cosa ch'io ami, ma non posso farne a meno. Devo
essere sempre dove è richiesta la mia presenza... Tu lo sai,
tutti lo sanno: è ineluttabile, tu l'hai detto. -
- Ma sta scritto? -
La Morte allargò le braccia, e sembrò stringersi nelle
spalle.
- Sta scritto che io arrivi SEMPRE, non QUANDO io debba arrivare. Però
sta scritto ch'io arrivi quando DEVO arrivare. -
- Non capisco. -
- Se sali su una moto da cento cavalli, la lanci alla massima velocità
e chiudi gli occhi per venti secondi, stava scritto che tu lo facessi?
Stava scritto che io e te avessimo un appuntamento in quel momento?
-
- No. -
- Ma se tu fai questo, tu mi dai un appuntamento. E se sta scritto che
devo essere presente, io devo essere presente. -
- Chi scrive se devi essere presente? -
- Se fosse scritto che l'uomo debba saperlo, tu lo sapresti già,
non credi? -
- Detesto la logica, quando mi si rivolta contro come un serpente! Morde.
Fa male. Lascia brutte cicatrici. -
- Su, non fare così... Nulla è scritto "da sempre",
altrimenti non esisterebbe la libertà; per contro, nulla è
che non venga scritto, o lentamente nel tempo o d'improvviso. Non ha
importanza che ciò avvenga in seguito ad un atto di volontà
di uno o di altri, oppure in seguito ad una casualità. Non ha
importanza quanto di totalmente assoluto sia nella casualità,
o quanto parziale o marginale sia la casualità stessa. Quando
accade qualcosa per cui io debba essere presente, io lo sono. Così
dev'essere. -
Oddone scosse la testa, con la fronte corrugata, come se avesse udito
concetti espressi in una lingua sconosciuta. Ma riuscì ugualmente
a porgere un'altra domanda:
- Ma tu, quanto tempo PRIMA di un appuntamento sai di doverci andare?
-
- Il tempo necessario per arrivarci. -
- Sapevo che mi avresti risposto così... -
- Perchè non c'è altra risposta, non credi? Non arrivo
mai in ritardo, nemmeno quando lo sono davvero: l'ora dell'appuntamento
è quando arrivo. Nè prima, nè dopo. Nessuno può
dire di essere morto nè un minuto, nè un'ora, nè
un giorno dopo il momento nel quale avrebbe dovuto morire. Nessuno può
dire di avermi aspettato. Si muore quando io arrivo, non quando eventualmente
avrei dovuto arrivare. -
Oddone restò muto. Non sapeva cosa dire, annichilito dalla basilarità
di questi assunti.
- Su, motociclista, continua: il prezzo può essere più
alto. -
- Sì. Continuo. Questo il prezzo: mancare in malo modo all'appuntamento
con te! Il nostro corpo è così fragile... Basta poco,
e ce ne restiamo qui, con il corpo o la mente devastati, a litigare
con la vita nostra e con quella di chi ci sta intorno. Distrutti, inabili
. A soffrire o far soffrire. A soffrire "e" a far soffrire.
Magari ad aspettare con ansia TE, che non ti decidi ad arrivare, finchè
non sta scritto che è arrivata l'ora dell'appuntamento. -
- Non è destino, questo, che sia prerogativa unica di chi ha
la passione per le moto. - sussurrò la Signora in Nero, indicando
con una manica l'Harley in nero sulla quale continuava a stare piacevolmente
seduta. - C'è chi ha subìto quanto temi senza aver neppure
in parte goduto le sensazioni che voi godete sulle moto. Il prezzo è
alto, è vero, ma parliamo anche della mercanzia che si acquista.
Parlamene tu, come ne parli a te stesso quando respiri il piacere che
le tue sette amanti sanno darti... -
Oddone esibì un sorriso un po' amaro, chiedendosi se era proprio
quello ciò che la Morte voleva da lui. Aveva la voglia e la forza
di parlarne, però. Di parlare del piacere della moto.
- C'è il senso di libertà. Ci sono le strade dei boschi
e dei monti e quelle della riva dei laghi e dei fiumi. Ci sono i mille
paesaggi da conoscere e da vivere. E da... scorrere. C'è la voglia
di cavalcare il vento, nei momenti in cui non senti più il canto
del motore, quando ti sembra di non essere nemmeno seduto su una moto,
ma sull'aria. E l'aria... vola!
Oppure c'è il piacere di guidare, di condurre quella bellissima
cosa viva che sta sotto di te. Il piacere di guidare "davvero"...
di dovere agire, muoverti, spostarti sulla sella per piegare il tuo
mezzo come la strada e la tua velocità richiedono. Con la continua,
eccitante sensazione della sfida all'equilibrio, in quel continuo gioco
di forze e vettori ed energia. In quel dominare il movimento, gustando
le accelerazioni e le decelerazioni mentre le usi per farle partecipare
all'insieme di tutti i fattori complessi... eppur dominabili, della
guida. Ed intanto la stringi con i pugni e le ginocchia, la tua moto,
e lavori con i piedi sui pedali e puoi cavare dal motore tutta una sinfonia
di suoni diversi. -
- C'è da dimenticarsi la paura, no? -
- No. Sì. Sì, posso dimenticare, per un po'. Ma c'è,
c'è sempre! Basta tanto poco per finire in pezzi! -
- Anche tu hai cercato l'emozione forte, però. L'hai cercata,
la paura! Andavi a più di duecento all'ora, quel giorno, ed era
una strada provinciale. Stretta, strettissima a quella velocità...
e così corta! E allora? -
- Quel rettilineo sembrava finire dieci metri avanti i miei occhi...
e stavo così steso sulla moto che mi sembrava di avere il naso
a dieci centimetri dall'asfalto della strada. Ho mollato quasi subito.
-
- E confessi? -
- Confesso una emozione violenta, e la paura era il suo condimento.
-
- E mentre danzi con le stagioni? Hai paura anche allora? -
- No, come potrei? Sei così assorbito da ciò che vedi
e vivi! Ancor oggi mi racconto la primavera sulle strade di Normandia,
quelle strade lunghe e diritte, immerse in campi verdissimi, sotto un
cielo tutto grigio e pigro ed umido... con i pensieri che mi si muovevano
nella mente in volute lente, torpide... un torpore soltanto a tratti
scosso dalle macchie di colore del violento giallo dei campi di colza
in fiore. Ricordo i sospiri che mi sfuggivano dentro il casco, incontro
al profumo esalato da quel verde umido e corroborante. E mi racconto
la primavera sulle strade verso Mantova, con gli occhi pieni del colore
dei fiori degli alberi di Giuda e di quelli delle forsizie, che imbrogliano,
con una gioia priva di pudore, esplodendo i fiori quando gli altri vegetali
si stanno ancor dando da fare ad emettere le foglie.
Ed intanto ogni altro albero ed arbusto si sforza di mostrarsi con il
verde più tenero e brillante, per competere con ogni altro albero
ed arbusto per conquistare la meraviglia del verde più fresco.
-
- Ma...? -
- Ma non puoi non vedere quel lungo, infinito guard rail... paziente
ed instancabile nell'attendere di affettarti un braccio, o una gamba,
o il collo... come una lama ben affilata. Con cento occasioni perchè
tu e la tua moto andiate a fare la quella spiacevole esperienza. -
- Non ci pensare. Dimmi dei profumi, invece. -
- Ci sono i profumi della primavera avanzata, quando si va in giro con
la visiera del casco semiaperta, per lasciarli penetrare ed affondarvi
il viso... il profumo delle ginestre delle isole, quello della lavanda
di Provenza! Le dolcissime robinie di Lombardia, le glicini, i tigli!
Ti ritrovi a guidare nell'estate, e non ti sei neppure accorto di quando
ci sei entrato.
Trovi l'alito caldo ed umido dei campi strapieni di mais, e l'aroma
fragrante del fieno appena tagliato, e l'odore irruente del letame che
nutre la terra, ed i vapori bollenti delle erbe che cuociono al sole.
-
- Ma... ma? -
- Ma come fai ad ignorare quei muretti infiniti di cemento , quelle
grigie meraviglie componibili che separano le carreggiate, e che ti
aspettano? Un sasso schizzato da una ruota d'auto, una vespa che ti
s'infila nel casco... oppure un piccolo urto, una ruota che perde aderenza.
Tu lo sai, ci sono ampie possibilità di scelta: grattugiarsi
fino alle ossa strisciando il muretto o l'asfalto... oppure giocare
a carambola restando al di qua... - e qui Oddone gesticolò, mimando
un tragico flipper. - O saltare di là per spiaccicarsi meglio.
Senza sapere chi sceglie quale sia il tuo gioco... Forse senza nemmeno
il tempo di capire quale sia, il dannato gioco! -
Oddone chinò il capo e tacque.
Il venticello gelido gli passò sulle orecchie, teso come un rasoio.
- Ma, nonostante tutto, il bagnato, o il ghiaccio, o il terriccio viscido
che sporca l'asfalto non ti fermano, d'inverno. Eppure l'unico profumo
che senti è quello del freddo... E sei qui con la moto, e ti
porti a spasso un'ospite. -
- Avrei preferito farti correre su monti e colline, in mezzo ai colori
ed ai profumi dell'autunno. - Oddone sbirciò la Signora, che
contemplava le montagne imbiancate, e si rese conto di ciò che
aveva appena detto. - Ma tu li conosci da sempre, dall'alba dei tempi...
-
- Dimmeli tu... è tanto tempo che non ci penso più. Forse
me ne sono scordata. Racconta, su. -
- Non è possibile raccontare tutte le sfumature del verde, del
marrone, del giallo e dell'arancio che si affollano nei boschi dell'autunno!
Magari lo sapessi fare! Dimentico perfino i primi due o tre degli infiniti
rossi degli aceri, non appena è passato un po' di tempo, quando
i miei occhi non ne sono più riempiti... Ogni bosco ha un profumo
diverso, e questo profumo cambia, se lo respiri al mattino, piuttosto
che a metà del giorno o al tramonto. E poi cambia ancora al variare
dell'umidità... e dopo una notte umida respiri fragranze che
ti allargano i polmoni e la mente... -
- Continua... -
- ... -
- Continua, su, non essere ritroso. Io sono... -
- Non dirlo! E' soltanto nel cuore dell'autunno che i colori ed i profumi
ora ti imbaldanziscono, quando il sole è caldo e l'aria asciutta,
ora ti commuovono, quando tramonta il sole. Ed infine ti riempiono di
dolcezza e tristezza e rimpianto, quando rinfresca ed è più
umido, e molte sono le foglie già cadute ed i profumi sono quelli
che sentivi da bambino nei boschi e nelle campagne e tra i cespugli
delle rive dei fiumi. -
- E dov'è la paura? -
- Mah! - ammise Oddone, dopo averci pensato su un po'. - Forse non è
davvero paura, quella di volare via insieme alle foglie e di perdersi
nei boschi dell'autunno... Forse non c'è paura di finire tra
alberi e cespugli. O forse non è il momento di pensarci, o il
caso di continuare a farlo. -
- E' così. Alla fine le paure sono consumate, sbiadite, ridotte.
E ti resta così tanto in cambio! -
- Davvero? -
- Tu lo senti. Io mi porto via le tue paure , ed il piacere di tutte
le cose belle che mi hai raccontato . Continua a goderne. Continua!
-
- Con minor paura? -
- Sì, o no. Non importa, se continui a goderne. Con prudenza,
se vuoi, perchè lo devi. -
Oddone restò in silenzio, fissando la Signora in Nero, che se
ne stava ancora seduta sull'Harley, rilassata, con il vestito ed il
cappuccio che ondeggiavano con grazia, e compostamente, al soffio del
vento dell'inverno.
- Ti saluto, ora. E' tempo ch'io vada. -
- Arrivederci, Morte. -
- Arrivederci, motociclista. Sii prudente. Cerca di non arrivare in
anticipo al nostro appuntamento! -
- InchAllah. - disse Oddone, come suo solito.
Ma la Signora in Nero era già svanita.
Lui si mise a
cavallo dell'Harley ed avviò il motore. Sospirò. Si sentiva
più tranquillo. Rasserenato. Beh, anche rassegnato. Stette ad
ascoltare il canto del motore. Il poderoso ronfare lo cullò,
e le vibrazioni lo riscaldarono.
Il sole continuava a splendere, in quel bellissimo, gelido sabato. Oddone
considerò che la Morte appariva ora qui, ora là, ma la
Vita era dappertutto. Era il caso di vivere. Infilò il casco
e riportò la moto sulla strada, dirigendosi a nord.
Le montagne coperte di neve scintillavano incoronando l'orizzonte, ed
era uno spettacolo bello da piangere.
Oddone incontrò
la Morte in un gelido e soleggiato sabato di gennaio. |